Pubblichiamo l'articolo che ci è pervenuto del magistrato Michele Marchesiello
Solo un accordo sulle regole può condurre fuori delle secche chi detiene oggi il potere dello scalo
"Il porto di tutti" : è il mantra che si sente ripetere davanti allo spettacolo dello scempio scoperchiato brutalmente dall'indagine della Procura genovese. Come sempre, ci si ripete ciò che si vorrebbe fosse, quando non si è capaci di reagire a una realtà ben diversa ."Wishful thinking" lo chiamano gli inglesi : "pensiero desiderante ma impotente", si potrebbe tradurre.Purtroppo, il porto di Genova non è di tutti, ma dei pochi che se ne sono impossessati per fini diversi dal perseguimento del bene pubblico (che vuol dire appunto "di tutti").Ed è ancora un esercizio di 'wishful thinking' pensare che quei pochi si rassegnino o, addirittura, si convincano da soli a rinunziare alle consolidate posizioni di privilegio e controllo acquisite, sul porto e nel porto, durante anni di sostanziale abdicazione dell'Autorità che per legge vi doveva essere preposta.I detentori dei poteri di fatto non vi rinunzieranno senza battersi: tra di loro, come non hanno mai smesso di fare, e tutti insieme contro il comune avversario, individuato nella legalità, magari cercando di tirarla dalla propria parte. Lo faranno - anche - unendosi al coro di quanti invocano una riforma del sistema che essi stessi sono riusciti per anni ad eludere ."Occorre una nuova legge portuale". Ecco allora il nuovo mantra: ecco di nuovo il "wishful thinking" fatto proprio da quanti sono riusciti a eludere la "vecchia" legge, convinti che anche con la "nuova" riusciranno a proteggere e perpetuare i loro privilegi, mai abbastanza vecchi .È questo il cerchio perverso, è questa l'illusione che occorre spezzare.Non esistono in realtà leggi buone o cattive, come non ne esistono di vecchi o nuove, se non in senso cronologico. Le leggi non sono formule dagli effetti magici, ma riposano - per così dire - sulla buona volontà e sulla lealtà di chi le deve applicare, osservare, far rispettare.Se non si comprende questo, anche una ipotetica nuova e "perfetta" legge portuale è condannata a una vita precaria.Le leggi non sono più atti d'imperio di una mente illuminata ( il mito del 'legislatore'), ma il risultato di un equilibrio raggiunto tra interessi contrapposti e di un'intesa intervenuta tra i portatori di quegli interessi, che la legge deve garantire. Non gesto autoritario, quindi, ma atto di buon senso, buona volontà, reciproco impegno in vista di un vantaggio riconosciuto comune: 'di tutti'. " Ne cives ad arma veniant", dicevano i romani, e le armi sono anche, soprattutto, quelle più infide e brutali della corruzione, della prepotenza, dell' "inciucio".Si lavori pure a una nuova legge portuale, tenendo presente che una riforma della portualità italiana deve partire necessariamente dal 'caso' Genova, caso clamorosamente patologico ma sintomo -anche - di un malessere diffuso. Se non si vuole correre il rischio di fare un'opera inutile o, addirittura, di favorire chi pretende di 'tutto cambiare perché nulla cambi' , occorre ristabilire , a monte della futura legge , un'intesa sulle regole, un piccolo new deal tra i principali attori della scena portuale, le forze politiche, del lavoro e quelle economiche, sotto il coordinamento di un'Autorità finalmente ristabilita e lealmente riconosciuta nel suo ruolo. Occorre, soprattutto, convincere i detentori dei vari segmenti di potere che si contendono lo scalo genovese, oggi spaventati o perplessi, che solo un accordo generale sulle regole può condurli fuori delle secche in cui rischiano di fare naufragio, e noi con loro.In caso contrario, il porto di Genova non solo ricadrebbe - insensibilmente ma in modo irreversibile - nella situazione di extra-legalità che lo ha contraddistinto nel corso di questi anni , ma sarebbe condannato - in contrasto con la propria vocazione e potenzialità? a una posizione di seconda fila anche nel quadro della portualità nazionale.Solo ritrovando - con orgoglio - il senso di una comune lealtà, di una comune disposizione al bene collettivo, sino a oggi mancati , anche i legittimi interessi coltivati da quanti operano nel porto potranno trovare una legittima protezione.È un' operazione di democrazia e trasparenza alla quale, nel nome di un'autentica "governance" , ogni protagonista dovrà partecipare e sottostare, in vista della auspicata riforma legislativa. Anche la giustizia, liberata dall'incubo di una impossibile supplenza, sarà in grado di proseguire il suo corso fisiologico.Solo a questa condizione si potrà dire con ragione che, a Genova, "il porto è di tutti".
"Il porto di tutti" : è il mantra che si sente ripetere davanti allo spettacolo dello scempio scoperchiato brutalmente dall'indagine della Procura genovese. Come sempre, ci si ripete ciò che si vorrebbe fosse, quando non si è capaci di reagire a una realtà ben diversa ."Wishful thinking" lo chiamano gli inglesi : "pensiero desiderante ma impotente", si potrebbe tradurre.Purtroppo, il porto di Genova non è di tutti, ma dei pochi che se ne sono impossessati per fini diversi dal perseguimento del bene pubblico (che vuol dire appunto "di tutti").Ed è ancora un esercizio di 'wishful thinking' pensare che quei pochi si rassegnino o, addirittura, si convincano da soli a rinunziare alle consolidate posizioni di privilegio e controllo acquisite, sul porto e nel porto, durante anni di sostanziale abdicazione dell'Autorità che per legge vi doveva essere preposta.I detentori dei poteri di fatto non vi rinunzieranno senza battersi: tra di loro, come non hanno mai smesso di fare, e tutti insieme contro il comune avversario, individuato nella legalità, magari cercando di tirarla dalla propria parte. Lo faranno - anche - unendosi al coro di quanti invocano una riforma del sistema che essi stessi sono riusciti per anni ad eludere ."Occorre una nuova legge portuale". Ecco allora il nuovo mantra: ecco di nuovo il "wishful thinking" fatto proprio da quanti sono riusciti a eludere la "vecchia" legge, convinti che anche con la "nuova" riusciranno a proteggere e perpetuare i loro privilegi, mai abbastanza vecchi .È questo il cerchio perverso, è questa l'illusione che occorre spezzare.Non esistono in realtà leggi buone o cattive, come non ne esistono di vecchi o nuove, se non in senso cronologico. Le leggi non sono formule dagli effetti magici, ma riposano - per così dire - sulla buona volontà e sulla lealtà di chi le deve applicare, osservare, far rispettare.Se non si comprende questo, anche una ipotetica nuova e "perfetta" legge portuale è condannata a una vita precaria.Le leggi non sono più atti d'imperio di una mente illuminata ( il mito del 'legislatore'), ma il risultato di un equilibrio raggiunto tra interessi contrapposti e di un'intesa intervenuta tra i portatori di quegli interessi, che la legge deve garantire. Non gesto autoritario, quindi, ma atto di buon senso, buona volontà, reciproco impegno in vista di un vantaggio riconosciuto comune: 'di tutti'. " Ne cives ad arma veniant", dicevano i romani, e le armi sono anche, soprattutto, quelle più infide e brutali della corruzione, della prepotenza, dell' "inciucio".Si lavori pure a una nuova legge portuale, tenendo presente che una riforma della portualità italiana deve partire necessariamente dal 'caso' Genova, caso clamorosamente patologico ma sintomo -anche - di un malessere diffuso. Se non si vuole correre il rischio di fare un'opera inutile o, addirittura, di favorire chi pretende di 'tutto cambiare perché nulla cambi' , occorre ristabilire , a monte della futura legge , un'intesa sulle regole, un piccolo new deal tra i principali attori della scena portuale, le forze politiche, del lavoro e quelle economiche, sotto il coordinamento di un'Autorità finalmente ristabilita e lealmente riconosciuta nel suo ruolo. Occorre, soprattutto, convincere i detentori dei vari segmenti di potere che si contendono lo scalo genovese, oggi spaventati o perplessi, che solo un accordo generale sulle regole può condurli fuori delle secche in cui rischiano di fare naufragio, e noi con loro.In caso contrario, il porto di Genova non solo ricadrebbe - insensibilmente ma in modo irreversibile - nella situazione di extra-legalità che lo ha contraddistinto nel corso di questi anni , ma sarebbe condannato - in contrasto con la propria vocazione e potenzialità? a una posizione di seconda fila anche nel quadro della portualità nazionale.Solo ritrovando - con orgoglio - il senso di una comune lealtà, di una comune disposizione al bene collettivo, sino a oggi mancati , anche i legittimi interessi coltivati da quanti operano nel porto potranno trovare una legittima protezione.È un' operazione di democrazia e trasparenza alla quale, nel nome di un'autentica "governance" , ogni protagonista dovrà partecipare e sottostare, in vista della auspicata riforma legislativa. Anche la giustizia, liberata dall'incubo di una impossibile supplenza, sarà in grado di proseguire il suo corso fisiologico.Solo a questa condizione si potrà dire con ragione che, a Genova, "il porto è di tutti".
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