SOStieni il bene comune
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giovedì 9 aprile 2009

Beni comuni e «bene comune»


Ricevo ed inoltro questo interessante articolo

che ha bisogno senz'altro di una lettura

approfondita e critica

pino parisi


C'erano una volta i beni comuni: l'aria, l'acqua, il bosco, il fiume, la spiaggia, i pascoli, e persino i campi che venivano dissodati e arati congiuntamente dalle comunità di villaggio. Nell'era moderna, il processo della loro appropriazione - e dell'esclusione di chi ne traeva il proprio sostentamento - è cominciato molto presto con le recinzioni [«enclosures»] dei pascoli in Inghilterra, che Marx pone a fondamento del meccanismo di accumulazione primitiva del capitale. Ed è proseguito nel tempo: molte delle rivoluzioni borghesi in Europa hanno messo capo a un processo analogo, per non parlare della conquista del West, in Nordamerica, a spese delle popolazioni indigene, o del colonialismo, che ha globalizzato questa pratica. Gli ultimi decenni, con il trionfo del liberismo e del cosiddetto «pensiero unico», si sono svolti all'insegna della privatizzazione di tutto l'esistente - persino dell'aria, con le quote di emissione - e della stigmatizzazione di tutto quanto è comune o condiviso. Ma la musica sta cambiando e deve cambiare.
Ciononostante, la difesa dei beni comuni, che oggi è il denominatore comune di tanti conflitti sociali, non si configura come un ritorno al passato, quando non tutto era ancora mercificato - e per questo «privatizzato» - in nome di un progresso che identifica efficienza e profitto. Certo, in molti casi - i più tipici sono quelli dell'acqua o delle aree protette - la difesa dei beni comuni si presenta a prima vista come una lotta contro la «novità» della loro privatizzazione. Ma La difesa dei beni comuni si presenta a prima vista come una lotta contro la «novità» della loro privatizzazione. Ma è fin da subito evidente che Pesito non può essere un ritorno al passato: il bene «comune» verrà salvaguardato come tale se per esso si svilupperà una forma di gestione totalmente nuova è fin da subito evidente che l'esito di una difesa del genere non può essere un ritorno alla situazione precedente.

Il bene «comune» verrà salvaguardato come tale solo se per esso si riuscirà a sviluppare una forma di gestione completamente nuova; sotto il controllo, anche se parziale e condiviso, e proprio per questo soggetto a continue revisioni, di coloro che si sono battuti contro la sua appropriazione privata, o che hanno dovuto accettare di rinunciare ad essa.

La soluzione non può essere ridotta a un trasferimento del bene sotto il controllo dello Stato. La proprietà «pubblica» di un bene comune, soprattutto se intesa come proprietà dello Stato o di una sua articolazione territoriale, non offre di per sé alcuna garanzia di partecipazione, di condivisione, di comunanza, tra coloro che dovrebbero esserne i beneficiari. Lo si è abbondantemente sperimentato in Italia, dove la proprietà pubblica - nell'industria, nei servizi, nel demanio, ecc. - è stato il terreno di coltura della cosiddetta «casta», cioè di un potere politico asservito a interessi privati; e ancor più nei paesi che si dicono o si sono detti «comunisti», dove la proprietà dello stato è stata la base su cui è nata, si è sviluppata e poi si è «rigenerata» la cosiddetta nomenclatura: una vera e propria classe di «padroni pubblici».

Viceversa, una vera condivisione può essere solo il risultato di una negoziazione tra le parti in causa - i cosiddetti «stakeholder» - dei termini della gestione di un bene comune, cioè delle modalità di ripartizione dei costi e dei benefici che esso comporta, a condizione, ovviamente, che sia sorretta da una forza adeguata, soprattutto della parte in lotta per non essere esclusa dai suoi benefici.

Ma è proprio nel corso di una negoziazione del genere che, quando mancano, si possono costruire le forze necessarie per portarla a buon fine, e la chiarezza sulle poste in gioco, che ne costituisce la premessa indispensabile. E questo tanto più quanto più si è prossimi al bene conteso: cioè soprattutto a livello locale. Una negoziazione del genere rappresenta sicuramente un passo avanti significativo rispetto alla semplice rivendicazione di una proprietà pubblica del bene. Se nel caso dei beni «naturali» come l'acqua, o il suolo pubblico, soprattutto se edificabile, o le aree protette, l'equivoco che fa coincidere la difesa del bene comune con il ritorno allo stato precedente ha comunque qualche ragione di sussistere, esso viene decisamente meno nel caso dei beni comuni di nuova creazione, o di quelli che si ricreano ogni giorno, come l'informazione, la scienza, il sapere. Una posizione intermedia tra queste due categorie di beni - in prima approssimazione, tangibili e intangibili - è quella occupata da «beni» come la salute; che in parte è il frutto di interventi attivi, che vanno organizzati, a beneficio del maggior numero possibile di persone se il bene salute deve essere «comune»; in parte è un effetto della prevenzione, cioè della salvaguardia di una condizione che interventi umani o eventi naturali mettono a rischio. Lo stesso vale, per fare un altro esempio, nel caso della gestione dei rifiuti, che, propriamente parlando, non sono un «bene», ma un «male comune» ; ma è un bene comune un ambiente senza rifiuti.
La conoscenza, sia quella frutto di ricerca che quella prodotta dall'insegnamento o dall'esperienza diretta, e l'arte - ma anche l'arte è sempre conoscenza - sono entità che si costituiscono nel tempo, in mi mondo dove prima non c'erano: un'aggiunta allo stato di cose esistente, un «accrescimento dell'essere».

Promuoverne condivisione e soprattutto condivisibilità - fin dal momento della loro comparsa - le qualifica come beni comuni. Si pensi a una ricerca scientifica, a una lezione o a un seminario accademico, a un manifesto politico o culturale, a una musica, a una canzone, a un edificio, a una installazione artistica. Il modo in cui nascono li plasmano in una forma che ne condiziona natura, funzione e modalità di fruizione e di trasmissione, differenziandoli fin dalla loro comparsa dai beni creati o prodotti perché se ne appropri mi ristretto gruppo di detentori autorizzati.
Un secondo equivoco da evitare è l'idea che perché un «bene comune» sia tale occorre che soddisfi in eguale misura gli interessi di tutti, che cioè occorra trovare tra questi una piena armonia, individuandolo o realizzandolo come «il» Bene comune. Nell'orizzonte temporale su cui ci è dato di ragionare, che è quello genericamente rappresentato dal riferimento alle «genera-zioni future», molti degli interessi in campo nei confronti dei beni comuni continueranno a essere contrapposti: in alcuni casi parzialmente e marginalmente; in altri radicalmente e in modo frontale.
Un bene diventa comune non perché sul suo utilizzo, sulla sua valorizzazione, sulla sua messa al lavoro si riesce a far coincidere gli interessi di tutte le parti in causa, di tutti gli «stakehol-der» - per esempio, nel caso dell'acqua, utenti, cittadini, ecologisti, amministrazioni, gestori, imprese e loro azionisti - cosa evidentemente impossibile. Ma il confronto pubblico tra i diversi interessi che si contendono il bene e la definizione delle soluzioni per la sua gestione offrono la possibilità alle diverse forze in campo di schierarsi, di impegnarsi, eventualmente di accordarsi e, se necessario, di combattersi a ragion veduta.
Insomma: la difesa dei beni comuni non ha niente a che fare con l'utopia irenica di un «Bene comune», o addirittura del «Sommo Bene», in cui l'intera umanità, in tutte le sue articolazioni, dovrebbe riconoscersi.

Per i molti che dalla condivisione di un bene guadagnano, qualcun altro verosimilmente perde, o deve comunque rinunciare al lucro o ai benefici che si riprometteva di ricavare - o che già ricavava - dalla sua appropriazione. Il godimento dei beni comuni non è quindi uno «stato stazionario», ma un contesto dinamico, in cui il conflitto tra appropriazione e condivisione si ripropone continuamente in nuove forme e, verosimilmente, con schieramenti mutevoli.
Che cosa c'è allora di nuovo in un approccio al conflitto - anzi, ai conflitti - sotto le insegne della difesa dei beni comuni? Di veramente nuovo forse non c'è nulla. Il conflitto tra appropriazione e condivisione è vecchio come il mondo, anche se in tempi recenti è stato offuscato da un «pensiero unico» che assegna dignità, legittimità e realtà solo alla competizione, cioè al gioco delle spinte contrapposte all' appropriazione e alla spartizione. Ma di nuovo c'è sicuramente il tentativo di formulare i termini dei conflitti in modo meno rigido e statico di quanto altri tipi di approccio tendono a fare.
Gli schieramenti che si costituiscono nella contesa per fare di qualcosa un bene comune sono mobili, fluidi, legati a contesti locali, che possono variare allargando o restringendo sia l'ambito tematico che l'area territoriale o le forze sociali coinvolte: si costituiscono o disfano nel corso della negoziazione, anche sulla base dei suoi esiti temporanei; e non è scontato che si ripropongano sempre nella stessa forma ovunque e in ogni momento. Cambiando ambito tematico, o riferimenti territoriali, possono cambiare anche la collocazione delle forze in campo e gli schieramenti. Si definisce così una collocazione che corrisponde a un contesto sociale più variegato, più flessibile, meno definito - e anche, in gran parte, meno conosciuto - di quello sancito dalle contrapposizioni - spesso solo «teoriche», o virtuali - tra classi sociali, o tra schieramenti politici, o tra universi culturali, o tra religioni. In ogni caso questo approccio antepone la condivisione al conflitto; il coinvolgimento alla contrapposizione; la negoziazione alle scelte unilaterali; senza ovviamente rinunciare o escludere il secondo corno del dilemma. In questo senso, e solo in questo, può essere considerato ricerca di un bene comune: in un'epoca in cui la guerra ha ormai dispiegato tutti i suoi orrori e i conflitti non controllati rischiano di scivolare rapidamente verso guerre totali e permanenti.
La distinzione tra beni comuni e «Bene comune» rimanda indirettamente a un'altra contrapposizione, sulla quale, come su molte contese di questi anni, destra e sinistra - o quelle che una volta erano destra e sinistra - si sono scambiate le parti: la contrapposizione tra creare e distribuire ricchezza. Secondo alcuni esponenti della «destra», la sinistra ha sempre posto l'accento sulla distribuzione, o re-distribuzione, della ricchezza, senza molto curarsi della sua creazione ; mentre solo la creazione di ricchezza può garantire, pur nel permanere o nell'accentuar-si delle disparità, un vantaggio per tutti: come l'alta marea - si argomenta - solleva sia le barche grandi che quelle piccole.Di contro, la «sinistra» ha avuto - o potrebbe avere - buon gioco nel far notare che le politiche di deregolamentazione, liberalizzazione, privatizzazione e riduzioni fiscali [che sono appropriazione privata di un reddito prima pubblico] sostenute dalla destra - ma quanto non condvise anche dalla «sinistra»? - si sono rivelate di fatto la causa principale della contrazione e poi dell'arresto dello «sviluppo» nel corso degli ultimi decenni; cioè il maggior ostacolo alla crescita della ricchezza. E che dunque, la sperequazione dei redditi, cioè la loro re-distribuzione a vantaggio dei gruppi privilegiati che ha caratterizzato gli ultimi decenni non ha fatto bene a tutti, ma è avvenuta a spese delle fasce più deboli e ha giocato solo a favore del privilegio.Questa falsa contrapposizione non mette in discussione il concetto di ricchezza, che per entrambe le parti è la crescita, il Pil, lo «sviluppo» inteso come «Bene comune»; o addirittura come «Sommo Bene». Ma è ormai noto a tutte le persone oneste o di buon senso che le cose non stanno così. Ricchezza è molteplicità, varietà e qualità delle nostre relazioni con gli altri e con la natura; o, se vogliamo, con l'ambiente fisico [il territorio], sociale [i viventi], culturale [la storia, le tradizioni, il pensiero altrui, le nostre aspettative] e con le generazioni future, sia quelle oggetto dei nostri affetti [figli e nipoti] che della nostra considerazione, per lo più assai labile [coloro da cui «abbiamo in prestito» il mondo].Certo, tutte queste relazioni sono mediate da oggetti materiali [edifici, infrastrutture, utensili, ingredienti, abiti, suppellettili, libri, supporti audiovisivi, reperti, ecc.] o da prestazioni o attività di altre persone, che le discipline economiche chiamano servizi, e che per essere erogati hanno comunque bisogno anche loro di beni materiali. Ma gli oggetti che ci mettono in relazione con il mondo, aumentando la libertà di tutti senza chiudere nessuno nell'idiotismo culturale e nell'autismo consumistico, sono in larghissima parte cose condivise o condivisibili, cioè «beni comuni» o potenzialmente tali. Beni che, quanto più sono condivisi, tanto meno hanno bisogno di crescere di numero o di dimensioni per soddisfare i bisogni o i desideri di tutti.

La difesa e la promozione dei beni comuni costituiscono quindi la vera alternativa all'aumento indiscriminato di produzione e «consumi»; cioè al feticcio della crescita come «Bene comune».

Guido Viale

sabato 4 aprile 2009

No alle ronde, sì agli immigrati in divisa


ricevo ed inoltro

Pino Parisi


LA POLIZIA deve aprirsi agli stranieri, solo così riusciremo a sconfiggere le mafie che vengono dall'estero. Come hanno fatto gli Stati Uniti con gli italiani: il nostro Joe Petrosino sarà africano o romeno». Non è una provocazione quella di Enzo Marco Letizia, segretario dell'Associazione Nazionale di Polizia, ma una proposta vera e propria, lanciata ieri a Palazzo Rosso in occasione del convegno "Sicurezza nelle città, dalla prevenzione sociale alla tolleranza zero", organizzata dall'associazione insieme al sindacato di polizia Siap.Il giudizio di Letizia non è tenero nei confronti del modo in cui viene affrontato oggi il tema della criminalità. «La sicurezza reale in Italia è molto superiore a quella percepita - spiega - Le ronde sono fallimentari, un placebo che non serve a nulla. Lo dimostrano tutte le statistiche. Basta controllare i dati della realtà americana, a cui questo modello guarda. In Italia, che conta 60 milioni di abitanti, nel 2007 sono stati commessi 585 omicidi, un centinaio in più di quelli avvenuti nel solo Stato di New York, dove abitano otto milioni di persone. Lì sono attivi da anni i Guardian Angels, un'organizzazione simile a quelle che si vorrebbero creare da noi, ma la situazione è molto peggiore della nostra».Nello stesso periodo, a Genova sono stati commessi 3 omicidi, 29 violenze sessuali, 400 rapine e 10mila furti. «Non si può parlare di tolleranza zero senza garantire la certezza della pena - continua Letizia - Quanto ai numeri dei nostri organici, è vero che in Italia c'è più polizia, ma ci sono anche meno reati. E la realtàè che siamo sotto organico, come ha ricordato anche il sottosegretario Mantovano, mancano 25mila uomini. Noi chiediamo che i soldi che vengono spesi per queste forme alternative di controllo del territorio tornino allo Stato e vengano ridestinati alla polizia, a cui sono stati tagliati i fondi.

Marco Grasso

giovedì 19 marzo 2009

LIBERTA’ PER IL POPOLO TIBETANO


-“Il 10 marzo 2009 è stato il cinquantesimo anniversario della pacifica rivolta del popolo tibetano contro la repressione della Cina comunista in Tibet…….Questi cinquanta anni hanno portato indescrivibili sofferenze e distruzioni alla terra del popolo tibetano….I tibetani stanno letteralmente vivendo l’inferno sulla terra” ( dichiarazione del Dalai Lama)L’invasione cinese risale al 2 ottobre 1950, quando Mao Zedong invia in Tibet 40 000 soldati che uccidono 8 000 guardie del Dalai Lama. A metà degli anni cinquanta le milizie comuniste cominciano a svuotare i monasteri.Nel 1955 avviene la prima insurrezione armata dei tibetani, con armi fornite dagli USA.Nel 1956 il governo cinese scatena una sanguinosa offensiva con 50 000 soldati e bombardamenti a tappeto.Nel 1959 il Dalai Lama fugge in India. La repressione cinese ha già fatto 65 000 vittime; 70 000 tibetani vengono deportati nei campi di lavoro; 80 000 fuggono verso i campi profughi indiani e nepalesi. Pochi dei seimila monasteri censiti prima del 1959 rimangono intatti,-Nel marzo 2008 il Tibet vengono commesse aggressioni e violenze contro gli immigrati cinesi ( l’immigrazione esa stata imposta dal governo cinese per indebolire l’etnia tibetana). Segue una feroce reazione poliziesca cinese-Dallo scorso marzo 1200 tibetani risultano “scomparsi”Il Dalai Lama non chiede l’indipendenza, ma una significativa autonomia per la regione tibetana. Ma il governo cinese è sordo ad ogni rivendicazione.

domenica 15 marzo 2009

Urbanistica spianificata: la parcheggite acuta. Malattia immor(t)ale della amministrazione e della sua burocrazia.


di Andrea Agostini

La parcheggite e una malattia molto diffusa fra gli spianificatori pubblici genovesi e ci si potrebbe scrivere un libro.Per comodita di narrazione mi limitero a descrivere un caso circoscritto seppur pregnante. La parcheggite acuta nel quartiere di nervi.Nervi e un quartiere cittadino dell estremo levante cittadinom gia comune autonomo con acune miiaia di residenti ed unanutritissimapresenza di nostagici dell autonomia perduta.Per l argomento che ci interessa, a viabiita ha una situazione moto sempice: due strade una la vecchia aurelia che l attraversa da ovest ad est per buona parte in senso unico. Un atra a nuova aurelia che piu a nord la circunaviga.Orgoglio e sofferenza dei residenti sono i parchi un po maridotti ma soprattutto raggiungibii in auto solo percorrrendo la strettissima via aurelia vecchia per raggiungere l unico park a rotazione nei pressi dea stazione.Per questa ragione ogni fine settimana centro di nervi e ammorbato dai gas di sarico e da rumore generati da una inesauribile lunghissima codadi auto e puman in vana attesa del posto libero al parcheggio.Da un punto di vista dell urbanista il discorso e sempicissimo. Servono parcheggi pubblici a rotazione anche per i pullman che portano turisti al polo museale interno ai parchi.Servono, servirebbero ma non ci sono e non ci saranno.Negli ultimi dieci anni i pianificatori affetti da parcheggite ne hanno previsti tre lungo l asse della vecchia via aurelia. Il primo all altezza dello svincolo di corso europa e un parcheggio privato per xxxx auto grande profitto per i privati grave danno per il pubblico oberato per anni da un cantiere infinito e compensato con qualche vascone cementato con arbusti vari e una piccolissima area per il capolinea di due minibus.Il secondo parcheggio autorizzato dagli spianificatori pubblici sta all angolo tra via marco sala ( un pezzo della via aurelia vecchia ) e via santilario. Anche qui parcheggi privati ma parecchi invenduti. E si perche ogni volta che piove forte si allagano e dopo le disavventure dei primi imprudenti proprietari la voce e girata e i nerviesi si sono tenuti alla larga. Ovviamente i progetto e stato analizzato approvato e collaudato magari in agosto qiando non piove. Poverini i collaudatori. Nessuno gli ha detto degli allagamenti in zona.Ovviamente il comune interviene a nostre spese per asciugare tutto e il contop non lo presenta ai privati, meno che meno agli spianificatori o ai collaudatori idrociechi.Poco piu in la in via casotti ( altro pezzo della via aurelia vecchia. Un altro parcheggio, anche qui solo per privati ( il piu redditizio ) e qui l acqua c e anzi c e un rio che vien giu a vaanga dai monti e si scarica con una cascata sulla passeggiata a mare.Ora tutte le regole della pianificazione urbana in europa recitano che le aree esondabii vanno rinaturalizzate.Ma qui siamo a genova i piaificatori sono affitti da parcheggite e ovviamente hanno autorizzato la costruzione direttamente sul rio con l accortezza di un be tubone in cemento che nessuno cura coi risutati facimente prevedibii alle prime forti piogge e anche qui dopo i primi sfortunati gli acquirenti latitano.Oneri a favore del pubblico un giardinetto e qualche panchina che essendo limitrofi ai parchi ne subiscono la concorrenza restando ( prevedibimente per noi non per gli spianificatori che hanno approvato ilprogetto ).I biancio per i pubblico e sconfortante solo costi e disagi nessuna souzione ai probemi della viabiita.Ma per nulla ammansiti dai risutati di dieci anni di assiduo lavoro gi spianificatori ne hanno autorizzati altri 4.Uno nelle aree della parrocchia ( la carita si sa costa ma anche con la speculazione ? ) xxxx posti , tutti privati in via donato somma ( aurelia nuova ) Nella stessa via altri 250 ( ? ) nell area nota come le streghe, con lo sventramento di un uliveto ( tre? Fasce ) un ascensore privato e 90 posti macchina a rotazione ma solo per 5 ( ? ) anni e poi il proprietario e' libero di venderli tutti a privati. Otretutto il posto e isolato e non servito da mezzi per raggiungere parchi musei e passeggiata a mare e quindi sono posti a rotazione che resteranno vuoti anche in assenza di ipotesi di pedonalizzazione delle aree centrali del quartiere.Il terzo parcheggio sempre in via somma all angolo con via dei floricultori ha visto l autorizzazione all abbattimento di numerosi aberi di alto fusto e in area esondabile ( stesso rio di via casotti ).Il quarto nella stessa via all altezza di capolungo per xxxx parcheggi privati e 27( ? ) pubbici vede una splendida area a serre verde, produttiva e storicamente significativa per l' identita storica del quartiere. Ovviamente questa autorizzazione da parte dei nostri spianificatori e stata possibie grazie ad una inopportuna veriazione da area verde agricola inedificablie ad area a servizi. Anche in questo caso nessuna utiita pubbica significativa e molti danni ambientali certi.In sostanza nessuna programmazione su territorio nessuna utilita pubblica il costante scarico sulle finanze pubbiche dei danni di gestione e costruzione dei singoli e dei privati, il facile profitto per la speculazione fondiaria ed immobiliare basato su una stesura delle regole urbanistiche su linee privatistiche.Questa e una storia vera che vale per nervi ma che e pari pari identica in tutta la citta.E ora di farla finita. I cittadini l hanno capito, i giudici anche. Il mondo politico e le amministrazioni no. Altro che discontinuita: cemento cemento cemento anche il verde tutto in orridi vasconi quello pubblico tutto sventrabile e cementoasfaltabile per far soldi.Ma puo continuare cosi?

giovedì 5 marzo 2009

Fare un golpe e farla franca


"Fare un golpe e farla franca": quanto avvenuto fra il G8 di Genova 2001 e le prime sentenze dei processi a carico di esponenti delle forze dell'ordine per i fatti della scuola Diaz, nella sintesi brutale ed efficace del film documentario di Enrico Deaglio, Beppe Cremagnani e Mario Portanova proiettato martedì sera presso il Circolone di Legnanoe che sarà riproposto martedì 11 marzo al Museo del Tessile di Busto Arsizio, dove presenzieranno Mirko Mazzali del Genoa Legal Forum e Don Andrea Gallo della comunità di San Benedetto al Porto.Sala strapiena al Circolone per la presenza di ospiti di rilievo collegati alle drammatiche vicende di quei giorni: l'europarlamentare di Rifondazione Comunista Vittorio Agnoletto (foto), uno dei volti più in vista del "movimento dei movimenti", e Haidi e Giuliano Giuliani, i genitori di Carlo, rimasto ucciso negli scontri di piazza Alimonda con i carabinieri - per loro non sarebbe stato, fra l'altro, il carabiniere Mario Placanica a sparare il colpo fatale al ragazzo."La prova generale di un modello di repressione": così Deaglio nel documentario riassume la sensazione di fronte all'ingentissimo spiegamento di forze dell'ordine, che non eviterà alla città la devastazione dei black bloc; si assisterà comunque a scene di violenze gratuite e ideologicamente motivate contro gente inerme, non solo alla scuola Diaz - Giuliano Giuliani definirà «delinquenti in divisa quanti picchiavano in dieci degli inermi a terra». Nel filmato sono intervistate le persone che ebbero responsabilità politiche in quei giorni, fra cui l'allora ministro degli Interni Claudio Scajola, che in una parziale autocritica ammette una scarsa preparazione di parte delle forze dell'ordine presenti, oltre a ricordare la massa di allarmi più o meno bislacchi rilanciati in quei giorni dai media (lancio di sangue infetto, e altre amenità). Il tutto mentre reparti di sicurezza fatti affluire da Roma si esibivano in coretti tipo "un due tre Pinochet", "faccetta nera" ecc. "Si mise in cantiere una strage", con tanto di body bags in quantità; quattro carceri furono in parte svuotate per far posto alla massa prevista degli arrestati: c'è anche questo nel filmato, oltre alle scene indelebili di pestaggi, saccheggi dei black bloc, scontri. Un secondo filmato tratto da O.P. Genova 2001 presenta la tesi cristallizzatasi a sinistra da quei giorni: "le azioni del blocco nero servono a giustificare la repressione dei movimenti", da qui lentezze, esitazioni, ordini di non intervento.«Cosa resta di questo golpe?» si chiede oggi Haidi Giuliani (foto a destra). «Non sarà che continua ancora oggi? Genova non è stata che la punta di un iceberg, e il futuro che attende i giovani d'oggi è molto pesante, un futuro con meno diritti e una Costituzione svuotata». Agnoletto individua responsabilità politiche e delle forze dell'ordine: e se per le prime «l'ordine pubblico era in mano ad AN», tra le forze dell'ordine (ce n'è per tutti, s'intende) ad essere accusato dall'europarlamentare è il "superpoliziotto" De Gennaro, allora capo della Polizia e oggi responsabile del Dipartimento Informazioni Sicurezza che coordina i servizi segreti. È notizia di ieri, ricordava Agnoletto, che resterà a Genova un procedimento a carico suo e di altri due dirigenti con l'accusa di istigazione alla falsa testimonianza. Ma l'europarlamentare comunista racconta anche altri episodi: come quando lui e Casarini ricevettero due buste con proiettili nei giorni subito prima del G8, oppure immediatamente dopo quando gli era stato fatto sapere da un "compagno" che sarebbe stato arrestato, «ma solo dopo i funerali di Carlo Giuliani», e che «l'intero Genoa Social Forum sarebbe stato accusato di associazione sovversiva». Salvo ricevere poi, il mercoledì, «la telefonata di un giornalista dal tribunale di Genova, che mi disse: tranquillo, non l'arrestano, non si è trovato un solo magistrato disposto a firmare un ordine di custodia...» Sul piano politico odierno, in un'Italia dove «si sta realizzando pezzo a pezzo il piano di rinascita democratica della P2», Agnoletto deve ammettere la disfatta delle sinistre, «ma si è fatta cultura, e questa resta». Una cultura che l'esponente comunista declina nel segno dell'antiliberismo, di una rinnovata lotta di classe, ma stavolta su scala globale, e dell'ambientalismo: «altro che quei "socialisti" che al Social Forum mondiale di Belèm non c'erano, perchè erano a Davos».

mercoledì 4 marzo 2009

Scajola ha un'idea atomica




di emiliano fittipaldi e marco preve


Il ministro atomico Claudio Scajola proprio non se l’aspettava che i suoi uomini potessero trasformarsi in epigoni di Bassolino e Iervolino. Nemmeno fossimo a Napoli o Afragola, piuttosto che nella civilissima Riviera dei Fiori. Lo smacco, invece, è arrivato: la Regione Liguria (di centrosinistra) ha commissariato la Provincia imperiese governata da Forza Italia, spedendo l’ex prefetto di Genova Giuseppe Romano a gestire l’emergenza rifiuti. Sarà una bella gatta da pelare: il territorio della zona è piccolo e montuoso, i siti adatti a realizzare sversatoi pubblici si contano su una mano, termovalorizzatori nessuno ne vuole e i comuni, quasi tutti scajolizzati, soffrono della sindrome “nimby”, i rifiuti ovunque, ma-non-a-casa-mia. Ma esclusa la spazzatura che insozza il suo feudo elettorale, “u Ministru”, come lo chiamano dalle sue parti, non ha preoccupazioni di sorta. Titolare dello Sviluppo economico e collezionatore di deleghe pesanti (controlla le Attività produttive, le Comunicazioni e il Commercio internazionale), gestisce un impero in crescita costante, anche grazie a un sistema di potere capillare che ne fa, insieme a Giulio Tremonti, l’uomo più influente del governo. I due ora lottano per mettere il cappello sul nucleare che verrà: l’imperiese per ora è in pole, mentre l’economista, azionista di riferimento dell’Enel che ha appena concluso un accordo con la francese Edf per costruire quattro nuove centrali, sta tentando di fermarne l’attivismo. Sarà difficile, visto che Berlusconi in persona ha abbracciato la sua causa firmando un patto con Nicolas Sarkozy per produrre insieme energia nucleare. Signore assoluto del Ponente ligure, accusato di aver creato il volo Roma-Albenga per le sue necessità di pendolare, appassionato d’auto d’epoca, pallanuoto e fornelli (è membro dell’Accademia italiana della cucina), Scajola, per bocca di alti dirigenti della Confindustria, «non avrà in mano il controllo della spesa, ma è tra i più ascoltati dal Cavaliere ed è il vero padrone della macchina di Forza Italia. Le imprese, quando vogliono qualcosa, devono bussare alla sua porta». Il peso politico conta, ma non basta. La leva è, come sempre, nel denaro: il ministero gestisce oltre 5 miliardi di euro l’anno di incentivi e contributi a fondo perduto destinati all’industria privata nazionale, e altri pacchetti destinati alle aziende di Stato. Un’assistenza che fa rima, in tempo di crisi, con sopravvivenza. Paradossalmente l’ex democristiano di economia non si è mai interessato granché. Uomo di partito, inizia a occuparsi di aziende ed energia solo nel 2005, quando Berlusconi, a tre anni dalle dimissioni da ministro dell’Interno (definì Marco Biagi, ucciso dalle Br, «un rompicoglioni» davanti a due giornalisti), lo richiama alle Attività produttive al posto di Antonio Marzano. Ci si trova bene, su quella poltrona, tanto che dopo la breve parentesi Bersani la richiede indietro. La sua rete oggi lega insieme controllori e sostenitori dell’industria nucleare ed energetica, banchieri fedeli, imprenditori, massimi boiardi di Stato e alte sfere ecclesiastiche. Il centro della ragnatela è, ovviamente, in Liguria. Imperia è da cinquant’anni poco più del giardino di casa della famiglia Scajola: il padre Ferdinando, degasperiano doc, è stato primo cittadino nel dopoguerra, lasciando poi il testimone prima al fratello fratello maggiore Alessandro e poi, nel 1982, a Claudio, che da giovane si è fatto le ossa nel movimento giovanile della Dc, nell’Inpdap, all’Ospedale Costarainera e all’Usl locale. Qui Scajola conta su una dote elettorale enorme, e i fedelissimi forzisti che siedono in Parlamento sono una trentina. «In ogni commissione», spiega un importante lobbista milanese, «c’è un suo uomo. Vede tutto, non gli sfugge nulla. Soprattutto nel campo strategico dell’energia». Il presidente dell’Enea, il genovese Luigi Paganetto, è un suo uomo: fu proprio Scajola nel 2005 a proporlo come commissario straordinario per la sostituzione del Nobel Carlo Rubbia. Sotto la Lanterna ha sede la Ansaldo Nucleare, l’azienda controllata dalla Finmeccanica. Il colosso militare ha un rapporto stretto col ministro: solo per la nuova autoblindo a otto ruote Vbc Freccia (concepita nei lontani anni Ottanta) lo Sviluppo economico ha già stanziato 310 milioni di euro, mentre per le fregate Fremm (le navi firmate Fincantieri sono fatte in Liguria, così come radar, sistemi elettronici e armamenti annessi targati Finmeccanica) Scajola ci mette la bellezza di 800 milioni di euro. Il legame è anche personale: il big dell’imperiese ha ottimi rapporti con l’ad Pierfrancesco Guarguaglini, mentre nel cda siede un suo vecchio amico, Piergiorgio Alberti, 65enne di Sanremo, che da giovane militava nella stessa corrente (dorotea) di Claudio. Nel collegio sindacale c’è Silvano Montaldo, tesoriere regionale degli azzurri, piazzato anche al famigerato aeroporto di Albenga e recentemente nominato dal ministro commissario straordinario della Merloni, il gruppo di elettrodomestici. Anche Alberti è uno che colleziona cariche nelle aziende che contano: attualmente siede su indicazione di Mediobanca nel consiglio della Parmalat, in passato è stato nei cda delle imprese di Marcellino Gavio e della Carige. L’istituto, il primo della Liguria e l’ottavo in Italia, è lo snodo finanziario dello Scajola Power: il fratello Alessandro ne è vicepresidente, Pietro Isnardi, il consuocero con interessi nell’immobiliare e l’alimentare, fa parte del consiglio. «Scajola avrà un pessimo carattere e i modi modi del “ganassa”», chiosa un esponente del Pd che lo conosce bene, «ma è uno che sostiene le imprese con i fatti, difende il sistema Paese e, contemporaneamente, i suoi interessi politici». Se Eni ed Enel sembrano ascoltare soprattutto l’azionista di riferimento, ossia il Tesoro di Tremonti, Fiat e Telecom hanno intuito che il loro futuro prossimo venturo dipenderà soprattutto da re Claudio. Che prima ha difeso le istanze di Sergio Marchionne sul bonus rottamazione (la Lega era contraria a nuovi aiuti), poi ha iniziato a studiare il piano per lo scorporo della rete fissa da Telecom. Un dossier delicatissimo: Mediaset sarebbe interessata a lanciarsi nella televisione via Internet e nelle telecomunicazioni, Scajola dirà la sua. Altro pallino del ministro è la disciplina. Sotto la sua guida il ministero si sta trasformando in una caserma. Sono stati cambiati 16 direttori generali, che impareranno presto come ordine e rispetto delle gerarchie siano imperativi categorici. Pare che Scajola in privato chiami i collaboratori «i miei soldatini». Viste le premesse, sembra naturale che l’antica passione per la Be- nemerita non abbia vacillato nemmeno nel dicembre del 1983, quando a ora di cena i carabinieri di Milano bussarono alla porta dell’allora giovane sindaco per accompagnarlo in galera. L’accusa era di concussione aggravata, in un affare di mazzette (epicentro dello scandalo il casinò di Sanremo) da cui fu poi scagionato. Ventisei anni dopo, di nuovo ministro, Scajola ha voluto come capo dell’Ufficio per gli affari generali un colonnello dei carabinieri. Non un militare qualunque, ma Roberto Massi, già capo del personale al Comando generale e, fino al 2007, comandante del reparto operativo di Roma. «Una mente», dicono in molti. Laureato in legge, negli ultimi due anni si è occupato di inchieste importanti come quella su Lady Asl (che ha portato all’incriminazione di pezzi da novanta di An), Calciopoli e l’affaire Storace. Nella squadra del ministro c’è di tutto: liguri doc, ambasciatori, ex prefetti, imprenditori. Se Paola Girdinio, preside della facoltà di Ingegneria di Genova, è tra gli esperti che decideranno a chi destinare i 200 milioni del programma “Efficienza Energetica”, i suoi tuttofare sono il fidato Michele Scandroglio (fino a poco tempo fa all’Isvap e alla Carige, oggi è stato eletto alla Camera norestando vicepresidente di una società di consulenza e consigliere di imprese per il recupero crediti) e Raffaele Lauro, senatore Pdl nominato suo “consigliere politico”. Amico di Giuliano Tavaroli, natali a Sorrento, folgorato in gioventù dal carisma di Antonio Gava, Lauro fu indagato e poi prosciolto per la storia dei fondi istituzionali utilizzati dai dirigenti del Sisde, ed è un vecchio protégé di Scajola: capo di gabinetto nel 2005, nominato nel cda della Carige l’anno successivo, presidente della commissione Antiracket e antiusura. Oggi siede pure nel “board” dell’Antimafia. L’attuale segretario particolare è invece Giuseppe Guerrera, che aspetta da due anni l’esito di un indagine della Procura di Sanremo che lo ha indagato per corruzione, mentre un altro uomo-chiave è Daniele Mancini, assunto come consigliere diplomatico mentre era ambasciatore in Romania. Elegante e influente, ottimi rapporti con le imprese venete che investono miliardi a Timisoara e dintorni, cura tutti i contatti con il dipartimento per il Commercio estero. «Finché il sottosegretario Urso avrà le deleghe, le aziende devono rivolgersi a lui», spiegano da Confindustria. La rete del ministro non poteva prescindere dalle entrature nelle alte sfere del Vaticano. Seguendo l’esen mpio del papà Ferdinando, legato al segretario di Stato di Giovanni XXIII, Domenico Tardini, Scajola junior ha cucito rapporti eccellenti con Crescenzio Sepe. Tanto che nel 2004 l’arcivescovo di Napoli, quando comandava gli uffici di Propaganda Fide, chiamò la moglie Maria Teresa Verda nel comitato scientifico che avrebbe dovuto far nascere un museo con le opere della congregazione. I collaboratori del cardinale commisero al tempo una gaffe da Guinness, convocando invece della professoressa a contratto, l’omonima Donatella Scajola, teologa e biblista di fama. Un piccolo incidente di percorso. Oggi l’eminenza preferita dal ministro è l’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, che ha fatto carriera diventando presidente della Cei. L’amicizia è solida, le occasioni d’incontro non si contano. Il patriarca qualche giorno fa gli ha consegnato personalmente il premio San Francesco di Sales promosso dal Monastero della Visitazione. La serata tutta abbracci e complimenti è finita però con un codazzo di ironie: il presidente della giuria era la professoressa Verda. Nessuna omonimia stavolta. Si tratta proprio di Maria Teresa, la moglie di re Claudio in persona.

martedì 17 febbraio 2009

Energia eolica impianti offshore


Energia eolica impianti offshore, l'italia arranca
Nel futuro del mercato eolico offshore, più promettente in termini di produttività energetica rispetto all'onshore, l'Italia arranca. Questo quanto emerge dal quadro tracciato dall'Ewea (European Wind Energy Association). Nella situazione attuale è segnalata un'unica installazione marina, una turbina al largo della costa di Brindisi, che non copre nemmeno un piccolo spicchio della torta del mercato dell'Unione europea. Fa invece la parte del leone la Gran Bretagna, con al suo attivo il 39% dei parchi marini operativi nelle acque comunitarie. Consistenti anche le installazioni in Danimarca, 28%, ed in Olanda, 17%. Si scende, poi, al 9% della Svezia. Completano il quadro il 2% di Belgio e Finlandia e l'1% di Germania e Irlanda.
Si tratta di uno scenario che, secondo i dati Ewea, è destinato a cambiare in fretta. Altro scenario si prevede per il 2015, quando il panorama dei paesi Ue con installazioni eoliche in mare dovrebbe apparire molto più variegato, con il contributo di 13 paesi. E la posizione dell'Italia dovrebbe migliorare. Il nostro paese, grazie ai nuovi impianti già programmati, si guadagnerà un posticino tra i paesi produttori di energia eolica offshore. Sarà in grado di produrre 827,08 Mw, una quantità pari al 2% dell'intero mercato comunitario. La Gran Bretagna con un 23% di installazioni dovrà cedere la leadership alla Germania, che scommette decisamente sull'offshore e, in meno di dieci anni, passerà ad avere dall'1% al 30% dei parchi marini europei. La posizione della Svezia rimarrà invariata con un 9%, mentre perderanno terreno l'Olanda, da un 17% all'8%, e la Danimarca, dal 28% al 3%. La Spagna entrerà sul mercato con un 5%, Francia e Danimarca con un 3%. Finlandia e Belgio passeranno dal 2% al 4% e l'Irlanda dall'1% al 2%.

martedì 10 febbraio 2009

POESIA PER ELUANA




A te


che ti sei sottratta


ai cannibali


con la tavola imbandita


agli sciacalli


con il plastico della tua prigione


ai malvagi


con le fiaccole della cattiveria.


A te


che sei andata


dove volevi essere


dove sei sempre stata.


A te


che sei evasa


da ogni dio onnipotente


con il camice bianco


con la tonaca nera


con la stilografica blu


bramosi del tuo corpo


di donna silente


furiosi della tua libertà


di donna amante.


A te


che ora puoi sorridere


guardandoli sbranarsi


sulla preda sparita


sentendoli ululare


disperatamente soli


sul nulla che da sempre


avvolge le loro vite.


A te
che sei stata


e finalmente sei.


Una carezza.


Silenziosa.




Marco
















domenica 8 febbraio 2009

Genova e i suoi parchi storici

di Andrea Agostini
A Genova si contano una trentina di parchi e un paio di centinaia di giardini, giardinetti, giardinoni.
E parliamo del solo patrimonio pubblico, se poi aggiungiamo le areee semipubbliche - ospedali, fondazioni, ecc. ecc. - e quelle private, i numeri decollano in maniera vertiginosa.
Sono un patrimonio fondativo dell'identità della citta', una leva fondamentale per misurare e migliorare la qualità di vita , l'ambiente, la salute, la socialità nella nostra Genova.

Dopo un paio di decenni di sostanziale abbandono e di svendita di aree di preziosissimo verde agli interessi della speculazione edilizia la situazione è drammatica e certo vanno trovate e approntate soluzioni.

Quelle di cui si parla sono pero' figlie della stessa cultura, affidare porzioni pregiate del bene pubblico e della storia di Genova ai privati o ai semi privati - le presunte fondazioni - che gestendole imprenditorialmente ne dovrebbero valorizzarel'immagine, recuperare il recuperabile e restituirgli l'antico splendore.

Rumors insistenti parlano di una operazione siffatta per il parco di villa Grimaldi a Nervi ( e il suo roseto ).

Si tratterebbe di investire un mucchio di soldi - pubblici guarda un po' - per rimettere in sesto la struttura e poi chiuderla e affidarla ai privati che la gestirebbero facendo pagare un biglietto e utilizzandola per manifestazioni e cerimonie private - a pagamento -.

La questione non è accettabile per una serie di motivi:

L'utilizzo di risorse pubbliche per risanare un bene pubblico per poi affidarlo ai privati è un non senso economico, giuridico, politico.

Si fa a pezzi una struttura storicamente definita ( si parla dei parchi di Nervi non di un solo parco ) consegnando ai privati il gioiello e abbandonando al loro degrado gli altri due.

I privati hanno gia' ampiamente dato cattiva prova di se nei parchi
( ricevimenti alla Gam con auto parcheggiate dentro i parchi, gazebo e varie strutture innalzati senza nessuna preventiva autorizzazione, camion frigo ( per i ricevimenti ) lasciati per ora in funzione nei parchi, calpestio delle aiuole e danneggiamenti vari senza ripristino ( uno per tutti il cancello originale eliminato e sostituito con un portellone da ferramenta a finco della Gam ).

Ma sopratutto nessuna manutenzione, nessun investimento sui parchi, solo utilizzo a fini privati delle aree alla cui difesa si ergono solo le associazioni ambientaliste ( in primis la benemerita Associazione degli Amici dei Parchi di Nervi )

Nello stesso tempo i numeri che ci vengono offerti sono incredibili l'Aster propone interventi ( spesso molto discutibili come quello recentemente attuato sulla passeggiata ) a prezzi totalmente fuori mercato senza alcuna gara

a Torino con 250 persone gestiscono tutto il verde di una città col doppio di abitanti e di estensione della nostra e con risultati che rispetto a noi sono pura fantascienza.
A Genova con piu' occupati e piu' risorse finanziarie la situazione è desolante.

Perchè è ovvio che il biglietto non e' in grado di pagare ne la manutenzione, ne il personale, figuriamoci gli investimenti.
Il rischio è affidare ai privati e vederci restituito un bene ben spremuto per fini speculativi e degradato per il prevedibile abbandono - come è il caso di villa Pallavicini a Pegli - tanto strombazzata semi - privatizzazione non sostenuta ne da risorse private ne da risorse e marketing pubblico.

Noi siamo convinti che i parchi genovesi, da Nervi a Voltri dall'Acquasola a Sampierdarena debbano essere gestiti come sistema , con processi di partecipazione delle popolazioni e delle associazioni, il tutto incardinato in un regolamento del verde pubblico e privato che li tuteli dalle razzie e dalle incursioni dei privati.

E' a partire da questo regolamento e da una discussione pubblica e trasparente che bisogna partire , non dallo spezzatino.

lunedì 8 dicembre 2008

Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà possano essere pienamente realizzati.




In occasione del 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
Per il Bene Comune organizza


Martedì 9 Dicembre alle ore 18.00


presso Associazione Culturale SATURA Piazza Stella 5 (da via Canneto il Curto)




Dibattito pubblico su: i diritti umani e l’Italia


Interverranno:


>Monia Benini presidente Per il Bene Comune : i diritti e le nuove generazioni in Italia


>Nando Rossi già senatore : I diritti e la politica in Italia


>Don Paolo Farinella presidente di Massoero 2000: I diritti di chi è povero e disagiato


>Salah Husein rappresentante comunità islamica di Genova : I diritti e la libertà di religione


>Christian Abbondanza presidente Casa della Legalità: I diritti e la legalità




Moderatore: Pino Parisi, coordinatore regionale di Per Il Bene Comune


Il dibattito è libero, gratuito e aperto a tutta la cittadinanza. Partecipiamo numerosi




Continua dai post precedenti:


Articolo 27
1. Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e a partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici.
2. Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore.



Articolo 28
Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.



Articolo 29
1. Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.
2. Nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.
3. Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in contrasto con i fini e principi delle Nazioni Unite.



Articolo 30
Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati.

La Dichiarazione Universale dei diritti umani è stata adottata e proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 217A (III) del 10 dicembre 1948.

lunedì 1 dicembre 2008

Tutti sono eguali dinanzi alla legge

Cari amici vi ricordo che il 9 dicembrealle ore 18.00 ci sarà l'assemblea pubblica in Piazza Stella 5 (da via Canneto il Curto) con gli interventi di: Nando Rossi, Monia Benini, Don Paolo Farinella, Salah Husein, Christian Abbondanza
Non mancate
Pino Parisi

Articolo 7
Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.



Articolo 8
Ogni individuo ha diritto ad un’effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge.



Articolo 9
Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.

domenica 30 novembre 2008

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti

Per il Bene Comune, nell'anno del 60° anniversario della dichiarazione dei diritti umani, indice la settimana dei diritti...purtroppo ancora negati!
Ogni giorno pubblicheremo gli articoli della Dichiarazione.
Da leggere, meditare e confrontare con l'attuale situazione...possiamo rendere il mondo migliore?
La settimana si concluderà il 9 Dicembre alle ore 18.00 con l'assemblea pubblica in Piazza Stella (da via Canneto il Curto) con gli interventi di: Nando Rossi, Monia Benini, Don Paolo Farinella, Salah Husein, Christian Abbondanza
Non mancate
Pino Parisi


Articolo 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Articolo 2
Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.


Articolo 3
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.


Articolo 4
Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.


Articolo 5
Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.


Articolo 6
Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica.

mercoledì 26 novembre 2008

IL FLORIDO MERCATO DELLA DISUGUAGLIANZA




Nel 2006 lo stipendio medio denunciato all’Inps di una persona immigrata, uomo o donna che sia, è stato di 11055 euro (921 euro al mese senza tredicesima), quello di una persona italiana di 17594 euro.Quello di un uomo immigrato di 13280 euro, quello di una donna immigrata di 8006. La regione che registra i redditi più alti degli immigrati è il Friuli Venezia Giulia (12865 euro l’anno), quella che registra i redditi più bassi è la Campania con 7379. La Liguria, con uno stipendio medio annuo degli immigrati di 9696 euro, ha dietro di sé solo Sardegna, Lazio, Sicilia, Calabria, Puglia, Molise. La nazionalità che registra il livello più alto è il Senegal con 14337 euro (ma lo stipendio medio di una donna del Senegal è di 7889 euro), e quella col livello più basso è l’Ucraina con 6699 euro (5974 per le donne) Questi dati Inps, riportati in un articolo/inchiesta su Metropoli di domenica 23 novembre, disegnano la mappa delle disuguaglianze su cui si regge una parte crescente della nostra economia. Le disuguaglianze separano tra loro italiani e immigrati, immigrato da immigrato a seconda dei territori e delle stesse nazionalità, e le donne immigrate sia dalle donne italiane (che comunque guadagnano meno degli uomini italiani), sia dagli uomini immigrati. I minori redditi segnalati dall’Inps hanno in sé molte cause: i settori di impiego, le qualifiche attribuite in ciascun settore, e le ore di lavoro effettivamente messe in regola. Infatti la gran parte degli immigrati è denunciata per 20 ore di lavoro settimanali, esattamente il minimo richiesto dalla legge per una assunzione in regola, a sua volta indispensabile per ottenere il permesso di soggiorno. Quindi (è cosa nota ma vale la pena tenerla sempre ben presente) gli immigrati in Italia lavorano, quando va bene e cioè sono in regola col soggiorno ed hanno una posizione aperta presso l’Inps, senza riconoscimento di qualifica nei settori meno remunerativi e più pericolosi, e con sostanziale rinuncia ad una protezione previdenziale per la loro vecchiaia: badare alla sicurezza immediata per proteggersi da rischi, malattie e infortuni, o futura per sopravvivere quando il lavoro non ci sarà più, è un lusso fuori portata. Il mercato della disuguaglianza percorre ogni fibra del nostro paese e si regge su responsabilità istituzionali, politiche, imprenditoriali, individuali. Ho recentemente assistito ad una telefonata tra una operatrice sociale ed una signora potenziale datrice di lavoro di una colf, che giudicava assolutamente eccessiva una paga sui 1100 euro mensili (6 euro orari) per un lavoro di assistenza a tempo pieno. La questione di come debba cambiare la nostra economia e il nostro stato sociale per rinunciare allo strepitoso volano (o ancora di salvezza, a seconda delle fasi economiche) della disuguaglianza dovrebbe essere una grande priorità della politica.(p.p.)

sabato 8 novembre 2008

Nuvole e Sciacquoni







Nuvole e Sciacquoni



Come usare meglio l'acqua in casa e in città



libro di Giulio Conte



Un nuovo movimento: la sustainable sanitation




L'acqua è l'oro blu del terzo millennio, capace di scatenare conflitti come già accade per il petrolio. Non è infinita, e se quasi un miliardo di persone non ne ha a sufficienza per soddisfare le necessità primarie, nei paesi dell' Occidente sviluppato spesso la si spreca con grande indifferenza.



La tesi è che sia invece possibile ridurre notevolmente i consumi idrici domestici e l'inquinamento da essi provocato senza per questo rinunciare ai livelli di comfort cui siamo da tempo abituati. Per farlo è però necessario innescare una piccola rivoluzione che, prima che tecnica e politica, è culturale.



Chi ha detto che per scaricare un WC si debba usare acqua potabile?



E perché abbiamo abbandonato la pratica di accumulare e riutilizzare le acque piovane?



Nuvole e sciacquoni analizza le strategie che sono state adottate nei secoli per la gestione domestica e urbana dell'acqua, e spiega come oggi è possibile usarla in modo più intelligente. Nuvole e sciacquoni si concentra sugli usi civili e domestici dell'acqua che, sebbene comportino consumi di gran lunga inferiori rispetto a quelli agricoli, sono in continua e rapida crescita. L'uso domestico è poi quello che ha bisogno di acque di miglior qualità, che diventano sempre più scarse a causa dell'inquinamento provocato in larga misura proprio dagli scarichi urbani.



È quindi urgente rivedere il modello di gestione idrico fin qui applicato.



Il libro illustra nel dettaglio le soluzioni più semplici e innovative per il risparmio e la migliore gestione dell'acqua nelle abitazioni e in città, proponendosi come la prima e più completa guida all’uso sostenibile delle risorse idriche.




Giulio Conte (Roma 1963), biologo, svolge attività di consulenza ambientale nel campo della gestione delle acque e delle risorse naturali. È socio fondatore dell'Istituto Ambiente Italia, dove è responsabile dell'area Risorse Naturali e svolge attività di pianificazione e valutazione ambientale. Con la società di ingegneria IRIDRA si occupa di progettazione di soluzioni per la gestione sostenibile delle acque e degli scarichi idrici. Ha collaborato a diversi progetti internazionali sulla gestione delle acque con partner europei e nordafricani.




Ma che cosa si intende per sustainable (o ecological) sanitation? Cercando questi due termini con un motore di ricerca internet, si trovano ormai un gran numero di siti interessanti: certamente una delle fonti più autorevoli, perché storicamente una delle prime ad affrontare il problema, è il progetto Ecosan, promosso dal Governo tedesco con il supporto di molti altri partner in tutto il mondo.






La gestione convenzionale usa grandi quantità di acqua, insieme a fertilizzanti e pesticidi, per irrigare i campi e fornire prodotti al mercato alimentare. Altra acqua viene destinata agli usi civili che la impiegano nelle nostre case per allontanare gli scarichi (che contengono proprio quei fertilizzanti necessari all'agricoltura). Grandi quantità di acqua vengono poi raccolte dalle reti fognarie e, nel migliore dei casi, inviate agli impianti di depurazione per rimuovere inquinanti e fertilizzanti. Non c'è riuso né d'acqua né di fertilizzanti, mentre c'è un forte rischio di contaminazione per qualsiasi problema si verifichi nella rete fognaria o nel depuratore.
La sustainable sanitation (o gestione sostenibile delle acque e degli scarichi) punta invece da un lato a ridurre il più possibile l'uso dell'acqua attraverso il risparmio e la raccolta della pioggia, dall'altro a riusare il più possibile acqua e i fertilizzanti contenuti nelle acque di scarico. Per questo tiene separate le acque grigie (meno pericolose perché non contaminate da patogeni e più facili da depurare) da quelle nere: le prime possono essere riusate in molti modi anche all'interno delle abitazioni (scarichi WC, lavaggio abiti e superfici interne ed esterne, innaffiamento); le acque nere, invece, che contengono nutrienti preziosi per l'agricoltura, vengono riusate per l'irrigazione, dopo aver eliminato i patogeni. Per il trattamento sia delle une che delle altre si tende a ricorrere a tecniche decentrate, che permettano di depurare e riutilizzare le acque localmente: tra queste, rivestono particolare importanza, anche se non sono le sole, le tecniche di fitodepurazione, che garantiscono una maggiore elasticità e sono gestibili in modo decentrato senza una specifica preparazione tecnica e a basso costo.



Quando possibile o necessario, la sustainable sanitation cerca di evitare del tutto il ricorso all'acqua: è il caso di tecniche come i waterless urinals (urinali a secco) e le composting toilet (toilet a compostaggio), che garantiscono lo smaltimento degli escrementi umani in perfetta igiene senza bisogno di acqua.
Il movimento si è recentemente organizzato nella Sustainable Sanitation Alliance (SuSanA, http://www.sustainable-sanitation-alliance.org/ ), un'associazione a cui aderiscono decine di diversi soggetti (organismi dell’ONU, enti di ricerca e agenzie di cooperazione internazionale, associazioni scientifiche e ONG, Enti locali, singole imprese) provenienti da ogni angolo del mondo (dal Brasile al Giappone, dalle Filippine al Sudafrica) con una prevalenza di partner europei e indiani. Inutile dire che tra i partner di SuSanA non c'è nessun italiano.

venerdì 31 ottobre 2008

Finiamo Ottobre con Gandhi




Prendi un sorriso


regalalo a chi non l'ha mai avuto.


Prendi un raggio di sole fallo volare là dove regna la notte.


Scopri una sorgente, fa' bagnare chi vive nel fango.


Prendi una lacrima


posala sul volto di chi non ha mai pianto.


Prendi il coraggio mettilo nell'animo di chi non sa lottare.
Scopri la vita raccontala a chi non sa capirla.
Prendi la speranza e vivi nella sua luce.
Prendi la bontà e donala a chi non sa donare.


Scopri l'amore
e fallo conoscere al mondo.
Gandhi

giovedì 30 ottobre 2008




Acqua del sindaco doc
Sono già 1.014 i ristoranti e bar segnalati sul sito internet www. imbrocchiamola.org , che raccoglie l'elenco dei locali che servono - o non servono - acqua del rubinetto. E sono ben 810, oltre l'ottanta per cento, quelli che lo fanno. La campagna «imbrocchiamola» è nata nella primavera del 2007 da un'idea dei «consumatori» di Firenze, ed è stata poi promossa su scala nazionale dalla rivista Alt/economia. Si basa si tre principi. Il primo è che ogni esercizio commerciale in cui si somministrano alimenti deve disporre di acqua potabile (altrimenti non potrebbe lavorare, come attestato dalla autorizzazione igienico sanitaria: legge numero 283 del 1962, regolamento comunitario 852/2004).Il secondo: non esiste nessun obbligo di legge a vendere acqua minerale in bottiglia (una confusione era nata nel 2005, in seguito al decreto del ministro Marzano che aveva introdotto le monodosi: l'equivoco è stato poi chiarito da una circolare dello stesso ministro, secondo cui nulla è cambiato riguardo la somministrazione di acqua sfusa, cioè di rubinetto: lo spiega Altre-conomia in un «volantino» scaricabile sul suo sito web). Infine, nessun esercizio può rifiutare acqua del rubinetto: si può eventualmente discutere se tale servizio vada pagato o meno -porebbe essere incluso nel coperto, com'è sempre stato. In dodici mesi, la campagna «imbrocchiamola» ha fatto parecchia strada. Ieri, 30 settembre, a Bari Legambien-te Puglia e Alt/economia hanno lanciato, insieme a Acquedotto pugliese (Aqp) una iniziativa rivolta a tutti i locali pubblici della regione, in collaborazione con Confcommercio. Gli esercizi che aderiscono esibiranno depliant con lo slogan: «Perché ti serviamo l'acqua di rubinetto in brocca?» - sul retro sarà pubblicata l'etichetta con le analisi dell'acqua di rubinetto del luogo, campagna che l'Aqp aveva già cominciato sul proprio sito web. «Così facciamo campagna allo stesso tempo per la riduzione degli imballaggi, come le bottiglie di plastica, e rilanciamo l'iniziativa dell'Acquedotto Pugliese sulla qualità dell'acqua del rubinetto», spiega Aldo Fusaro di Legambien-te Puglia. La campagna servirà, si spera, a rimpinguare la lista dei ristoranti pugliesi sul sito di «imbrocchiamola»: al momento sono solo 15. A Milano sono però una trentina: sulla porta d'ingresso hanno attaccato una vetrofania con il logo della campagna, chi entra e chiede l'acqua del sindaco può essere sicuro che non sarà maltrattato (I ristoratori che vogliano aderire a «imbrocchiamola» possono chiedere la vetrofania scrivendo a http://www.blogger.com/ o telefonare allo 02 8324 2526).Intanto la campagna conquista anche i consigli comunali: come quello di Fano, in provincia di Pesaro-Urbino, nelle Marche, ha approvato a metà di settembre una «mozione urgente per portare acqua in brocca sulle tavole dei ristoranti», promossa dal gruppo consiliare Bene Comune. La mozione impegna il sindaco a «favorire informazioni tali da permettere anche nei locali pubblici, a chi lo chieda, di poter ricevere acqua in brocca; a favorire mediante gli organi di stampa comunali (...) un più ampio uso del'acqua di rubinetto; a rendere noti i periodici esami svolti dal servizio idrico sulle caratteristiche dell'acqua dell'acquedotto per stimolare i cittadini all'uso dell'acqua di rubinetto». Tre passi semplici, per tornare a considerare normale bere acqua di rubinetto: in fondo lo era, prima che la pubblicità delle aziende che imbottigliano acqua ci affogasse.

domenica 19 ottobre 2008

Inceneritori, rifiuti e strategia zero

Una presentazione degli inceneritori, delle bugie che ci raccontano, dei danni che provocano e dei motivi per cui i governanti li costruiscono in Italia.


martedì 7 ottobre 2008

I biocarburanti sono cibo sottratto ai poveri e non risolvono il problema ambientale.




Un falso rimedio al cambiamento climatico è la promozione di biocarburanti a base di mais, soia, olio di palma e jatropa. I biocarburanti, combustibili ottenuti dalle biomasse, continuano ad essere la principale fonte energetica per le popolazioni povere del mondo. L'azienda agricola ecologica e biodiversa, ossia biologicamente varia, non è solo una fonte di cibo, è anche fonte di energia. L'energia per cucinare deriva dalle biomasse non commestibili, come sterco bovino essiccato, steli di miglio e gambi di leguminose, da specie agroforestali presenti sui terreni boschivi di proprietà dei villaggi. Gestite in modo sostenibile, le comunanze dei villaggi sono da secoli fonte di energia decentralizzata. I biocarburanti industriali non sono i combustibili dei poveri, ma sono il cibo dei poveri trasformato in calore, elettricità e trasporti. I biocarburanti liquidi, soprattutto l'etanolo e il biodiesel, sono uno dei settori di produzione in maggiore crescita, stimolato dalla ricerca di risorse alternative ai carburanti fossili, da un lato, per evitare la catastrofica impennata di prezzo del petrolio, e dall'altro, per ridurre le sostanze ricche di amido, come mais, orzo e grano. L'etanolo viene mescolato con il petrolio. Il biodiesel si produce solo con sostanze vegetali, come l'olio di palma, l'olio di soia e l'olio di semi di colza. Il biodiesel viene mescolato al diesel. (...) Il settore dei biocarburanti è cresciuto rapidamente in tutto il mondo. Gli Stati Uniti e il Brasile hanno creato industrie per la produzione di etanolo e anche l'Unione Europea si sta mettendo di fretta al passo per esplorare il mercato potenziale. I governi di tutto il mondo incoraggiano la produzione di biocarburante con politiche a sostegno. Gli Stati uniti stanno spingendo le altre nazioni del terzo mondo ad introdurre la produzione di biocarburante in modo da soddisfare i propri fabbisogni energetici, anche se questo significa svaligiare le risorse altrui. È inevitabile che questa massiccia crescita della domanda di cereali si risolverà a scapito della soddisfazione dei bisogni umani, con i poveri incapaci di competere economicamente e tagliati fuori dal mercato alimentare. Nel febbraio dello scorso anno il Movimento dei Senza Terra brasiliano ha rilasciato una dichiarazione in cui nota che «l'espansione della produzione di biocarburanti aggrava la fame nel mondo. Non possiamo mantenere i serbatoi pieni mentre gli stomaci si vuotano». La deviazione delle risorse alimentari a risorse per produzione di carburante ha già innalzato il prezzo di granturco e soia. In Messico si sono verificate rivolte per l'aumento di prezzo delle tortillas. E questo non è che l'inizio. Immaginate quanta terra è necessaria per produrre il 25% del combustibile utilizzando le risorse alimentari. Una tonnellata di granturco produce 413 litri di etanolo. 35 milioni di galloni di etanolo richiedono 320 milioni di tonnellate di granturco. Nel 2005 gli Stati uniti hanno prodotto 280,2 milioni di tonnellate di granturco. Con la stipula del Nafta, gli Stati Uniti hanno distrutto tutte le piccole aziende agricole messicane, rendendo il Messico dipendente dal granturco Usa. È stato proprio questo il motivo alla base della rivolta zapatista. Oggi nel paese, in seguito alla conversione del granturco in biocarburante, il prezzo del granturco ha subito un forte rialzo. I biocarburanti industriali vengono promossi come fonte di energia rinnovabile e mezzo per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Tuttavia, ci sono due inoppugnabili ragioni ecologiche che spiegano perché la conversione di colture come soia, granoturco e palma da olio in carburanti liquidi possa aggravare il caos climatico e il carico di CO2. In primo luogo, la deforestazione causata dall'espansione delle piantagioni di soia e di palme da olio sta portando a un aumento di emissioni di CO2. Secondo le stime della Fao, ogni anno vengono rilasciati nell'atmosfera 1,6 miliardi di tonnellate di gas a effetto serra provenienti dai disboscamenti, tra il 25 e il 30% dei gas totali. Entro il 2022 le piantagioni per la produzione di biocarburante potrebbero avere distrutto il 98% delle foreste pluviali indonesiane. (...) In secondo luogo, la conversione di biomassa in carburante liquido comporta l'impiego di quantitativi di carburante fossile maggiori rispetto a quello che sostituisce.La produzione di un gallone di etanolo richiede 28.000 Kcal. Un gallone di etanolo fornisce 19.400 kcal di energia. Un rendimento energetico pari al 43%. Gli Stati Uniti si serviranno del 20% del proprio granturco per produrre 5 miliardi di galloni di etanolo, che sostituiranno l'1% dell'uso di combustibile. Se si dovesse impiegare il 100% del granturco, si sostituirebbe solo il 7% del petrolio totale. Non è certo una soluzione questa, non per controbattere i prezzi record del petrolio, e né per mitigare il caos climatico. (David Pimentel alla conferenza IFG sulla "Triplice crisi", Londra, febbraio 23-25, 2007) Ed è fonte di altre crisi. Per produrre un gallone di etanolo vengono usati 1700 galloni di acqua. Il granturco necessita di più azoto fertilizzante, insetticidi ed erbicidi di qualsiasi altra coltivazione. Questi falsi rimedi finiranno per accrescere la crisi climatica, aggravando e acuendo al contempo la diseguaglianza, la fame e la povertà. Esistono, tuttavia, soluzioni reali che possono mitigare il cambiamento atmosferico ed anche influire sulla riduzione della fame e della povertà. Secondo il Rapporto Stern, l'agricoltura è responsabile del 14% delle emissioni, lo sfruttamento del terreno (con riferimento soprattutto alla deforestazione) lo è del 18% e il trasporto del 14%. All'interno di questo computo rientra il crescente fenomeno del trasporto di derrate fresche, che potrebbero essere coltivate in loco. L'agricoltura che fa uso della chimica industriale, nota anche come Rivoluzione Verde (Green Revolution) quando venne introdotta nei paesi del Terzo Mondo, è la fonte principale dei tre gas a effetto serra: anidride carbonica, ossido di azoto e metano. L'anidride carbonica viene emessa quando si utilizzano carburanti fossili per i macchinari e per il pompaggio dell'acqua dai pozzi, per la produzione di fertilizzanti chimici e pesticidi. I fertilizzanti chimici emettono azoto ossigeno che, come gas serra, è 300 volte più letale dell'anidride carbonica. Infine, l'allevamento di animali a granaglie è la fonde principale di metano. Gli studi indicano che un passaggio da una dieta a base di granaglia a una dieta biologica a base erbacea potrebbe ridurre fino al 50% l'emissione di metano attribuibile al bestiame. Non tutti i sistemi agricoli contribuiscono, tuttavia, alle emissioni di gas serra. L'agricoltura ecologica e biologica diminuisce le emissioni sia riducendo la dipendenza da combustibili fossili, da fertilizzanti chimici e da alimentazione intensiva, sia assorbendo un maggiore quantitativo di carbonio nel terreno. I nostri studi dimostrano un aumento di sequestro di carbonio fino al 200% nei sistemi biologici biodiversi. Quando «ecologico e biologico» si combinano a «diretto e locale», le emissioni vengono ulteriormente ridotte, grazie alla riduzione del consumo energetico per il trasporto del cibo, l'imballaggio e la refrigerazione. Il sistema alimentare locale ridurrà la necessità di incrementare l'agricoltura nelle foreste pluviali di Brasile e Indonesia. Con una transizione tempestiva, potremmo ridurre le emissioni, aumentare la garanzia e la qualità del cibo e migliorare la resistenza delle comunità rurali nell'impatto col cambiamento climatico. Optare per una transizione dal sistema alimentare industriale globalizzato, imposto da Omc, Banca Mondiale e Agribusiness globale, a sistemi alimentari ecologici e locali, rappresenta una strategia di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico. Protegge i poveri e protegge il pianeta. Lo scenario post-Kyoto deve necessariamente includere l'agricoltura ecologica come soluzione climatica.

venerdì 3 ottobre 2008

Giornata mondiale della Nonviolenza


Ieri è stata celebrata la Giornata mondiale della Nonviolenza.
Sempre più spesso, ormai, la violenza è veicolata, oltreché da governi, eserciti, gruppi, bande e lobbies, dai media. I mezzi di informazione, megafoni di potentati economici, politici e militari, sono diventati strumenti fondamentali per vecchi e nuovi conflitti, per la "creazione del consenso" alle guerre, alle fobie, alla "caccia alle streghe". Lo vediamo, tristemente, ogni giorno anche in Italia, dove tv e giornali hanno dato voce, o, ancora peggio, hanno rinfocolato un razzismo, una xenofobia, un anti-islamismo latenti in quella parte della popolazione italiana più arretrata culturalmente, socialmente e psicologicamente. Hanno fatto leva, per anni, sugli istinti e le paure primordiali, ataviche, di tanta gente, coprendo così i reali problemi che soffocano l'Italia, l'Europa, l'Occidente: la crescente e dilagante povertà. La crisi economica, culturale e sociale viene quindi smorzata da un'informazione sguaiata e manipolatoria che ha come obiettivo "facili" capri espiatori.
Basta accendere la tv e seguire un qualsiasi Tg per ritrovarsi immersi in notizie di scarsa utilità, spesso di cronaca nera o di gossip, ma di cui si intuisce il senso e la finalità: non farci pensare. Farci dirottare rabbia e delusione su "altri" obiettivi - immigrati, rom, musulmani - scelti ad hoc, e non sulle reali cause del nostro nazionale malessere.
Ecco, dunque, che nonostante proclami e manuali di "etica e deontologia" professionale, spesso il giornalismo è un potente e terribile agente in mano a editori, e a direttori e colleghi consenzienti, di conflittualità e di disinformazione finalizzato a tener buone le masse di lettori e telespettatori. O meglio, a indirizzarne i sentimenti più "intestini" verso target che non mettano in crisi il "sistema". Ecco, allora, che sorge il problema "zingari", il problema "immigrati", il problema "moschee e islamici", il problema "terrorismo islamico". Certo, direte voi, la pessima gestione dell'"immigrazione" degli ultimi dieci anni ha creato non poche, reali, tensioni, ma da qui a mandare in crisi l'Italia, ce ne vuole.
La questione reale è che il nostro Paese sta andando a pezzi, ma non ce lo dicono: sono troppo attenti a stornare la nostra attenzione su altro.
Per non parlare poi dell'informazione sul Medio Oriente, sulle guerre "preventive", su Russia, Iran e America Latina: un cittadino che non attinga ad altre fonti, che non si documenti per proprio conto, prenderà per buono ciò che passano tv e giornali. Un'informazione di parte, quando non del tutto manipolata. Il recente caso della guerra tra Georgia e Russia ne è un incredibile emblema: ci è stato detto, infatti, che a iniziare la guerra è stata la Russia e non la Georgia! E che dire del cosiddetto "conflitto israelo-palestinese"? Ai più sembrerà che i palestinesi siano gli oppressori e gli israeliani gli oppressi. E' la comunicazione veicolata dalla maggior parte dei nostri media. E' ciò che vogliono farci credere, infatti. Mentendo spudoratamente.
Allora, celebrando la Giornata della Nonviolenza, ricordiamoci del Mahatma Gandhi e di ciò che scriveva sul giornalismo.
Angela Lano

"Fin dal primo mese di 'Indian Opinion' (*) mi resi conto che servire dovrebbe essere l'unico scopo del giornalista. La stampa è una grande forza, ma, come un torrente d'acqua che non sia tenuto a freno sommerge intere regioni e devasta i raccolti, così anche una penna incontrollata non serve che a distruggere. Se il controllo viene dall'esterno, si rivela più pericoloso della mancanza di controllo. Se il filo di questo ragionamento è esatto quanti giornali nel mondo supererebbero la prova?".
Da "Antiche come le montagne", Gandhi,

lunedì 18 agosto 2008

Cpt o Cie che dir si voglia... non ne vogliamo!


Genova: braccio di ferro politico con il governo.

Il Vertice in prefettura sui CPT è stato voluto dal governo per cercare di capire la posizione degli enti locali, Comune e Regione in primis.
Importante anche la posizione del cardinale Angelo Bagnasco. Doppia veste la sua: presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), ma anche della Conferenza episcopale ligure.
Prima del vertice, nelle stanze dell’arcivescovado, sono transitati il responsabile nazionale della comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi, il sindaco di Genova Marta Vincenzi, il prefetto Anna Maria Cancellieri e il questore Salvatore Presenti. Incontri separati, ma forse collegati. Andrea Riccardi, che periodicamente incontra Bagnasco anche a Roma, è considerato un esperto in materia di Rom e la comunità di Sant’Egidio è una delle poche realtà ad occuparsi dei problemi dei nomadi. Argomento che nel pacchetto sicurezza, con la schedatura dei campi rom e il rilevamento delle impronte dattiloscopiche anche ai minorenni, ha creato più di una polemica fino ad arrivare alla sospensione del giudizio fino a settembre, in attesa di avere un parere della Commissione europea.
Settembre, però, è vicino.
Altro segnale, la presenza di Marta Vincenzi. Il cardinale Bagnasco non ha mai pronunciato una parola contro la moschea, se ha avuto qualche dubbio, dicono i suoi esegeti, è stato di tipo logistico, ma non ha apprezzato le strumentalizzazioni della Lega Nord sulla realizzazione di un centro culturale interreligioso alla Commenda di Pré.
Ancora: il prefetto Cancellieri e il questore Presenti dal cardinale Bagnasco possono, ad esempio, aver ascoltato parole in libertà su come la Chiesa considera i Cie, i centri di identificazione ed espulsione, sigla che ha sostituito - anche concettualmente - i vecchi centri di permanenza temporanea. Solo a sentire il termine Cie, ad esempio, la Regione inorridisce: «Non ne vogliamo nemmeno uno perché sono diventati centri di detenzione preventiva veri e propri» anticipa l’assessore regione all’immigrazione, Enrico Vesco, invitato al vertice.
È la seconda volta in pochi giorni che la Curia di Genova diventa un crocevia di mediazione politica. A luglio lo stesso Maroni, sotto il fuoco incrociato della stampa cattolica, si era rivolto al presidente della Cei per un incontro chiarificatore. Bagnasco lo aveva ricevuto, ma non a Roma, a Genova. Oggetto della discussione il pacchetto sicurezza e soprattutto quelle “disposizioni urgenti per fronteggiare lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi in Campania, Lazio e Lombardia” che trasformavano i prefetti di Napoli, Roma e Milano in commissari straordinari.
Ora, a distanza di poche settimane, sembra che la storia si stia ripetendo. Il vertice di Genova sulla sicurezza in Liguria con i prefetti di Genova, Imperia, Savona e La Spezia, i sindaci dei capoluoghi ed il governo della Regione anticipa di poche ore un analogo summit che Maroni dovrebbe presiedere a Roma a livello nazionale. L’argomento più scottante è senza dubbio quello sui Cie.
Il governo li vuole perché la Lega Nord li vuole. Anzi insiste. Famiglia Cristiana in prima linea (Avvenire, l’organo della Cei però sembra meno interventista), continua a criticare l’operato di palazzo Chigi sulla sicurezza. Basta guardare l’ultimo (di una lunga serie) affondo del settimanale Paolino che definisce «politica del rattoppo» quella dell'esecutivo di Berlusconi. Stoccate alle quali, pare, seguiranno querele. La prima contro il settimanale dei paolini è già stata annunciata dal capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. Il solco si sta allargando.