di don Paolo Farinella
...... Sono costretto invece ad occuparmi di nuovo (ed è la terza volta) di servizi sociali per i quali sono letteralmente assediato, segno che ho toccato un nervo scoperto. Un uomo nel pieno vigore della sua maturità. Un lavoro ben retribuito, garanzia per un mutuo pluridecennale. Una prospettiva di vita gratificante. Un avvenire sicuro. Un giorno qualsiasi di una qualsiasi settimana, durante una qualsiasi vacanza estiva, a bordo di un anonimo motorino. Gioioso rientro a casa dopo una serata gioviale passata con amici. E’ notte. La luna rischiara la strada alimentando la fioca luce del motorino. I pensieri corrono ad anticipare il futuro e tornano indietro agli amici appena lasciati. All’improvviso, una buca, un miserabile squarcio sulla strada che nessuna amministrazione ha mai riparato. Nella notte, nella solitudine, un tonfo: il motorino non ha schivato la buca mimetizzata, ma si è impennato, disarcionando il suo cavaliere dall’utopia della vita. Silenzio. Nessuno passa. Manca la voce per gridare e le forze per racimolarsi e raccogliersi in un impeto di disperazione. Tutto tace all’intorno. L’attesa è più tragica del dolore perché l’alito della morte sbuffa sul volto immobile. Solo lo sguardo parla muto nella notte buia che ha ucciso ogni speranza. All’ospedale la sentenza: paraplegico per sempre. La mamma impazzisce, la casa sfuma, il lavoro diventa l’Everest da scalare, il mutuo una ghigliottina. Una buca per un destino. Si spegne il futuro e si incendia il presente frantumando sogno e realtà. Tutto questo a Genova, in un normale quartiere di gente normale che vive normalmente. L’uomo, ora paraplegico per sempre, non demorde, assale la vita, l’aggredisce e vuole tornare a lavorare per vivere e pagarsi anche il mutuo. Non chiede assistenza, ma di essere messo in condizione di auto-determinarsi. E’ possibile perché attraverso la rieducazione ha imparato ad essere autosufficiente. Bastano dieci mila euro per una macchina con cambio automatico. Una sola volta. Il Comune «non ha soldi» e non si pone nemmeno il problema che la scelta è «adesso» tra un aiuto «una tantum» e il trasporto lavorativo di quest’uomo in taxi «a vita», con una incidenza sulla casse comunali incalcolabili. A cui si deve aggiungere, con costi ancora più incalcolabili, una nuova sistemazione abitativa e l’assistenza domiciliare per sempre fino alla morte. E’ questa la politica sociale in termini di «efficacia, efficienza ed economicità» del comune di Genova? A me sembra più un metodo dispendioso per creare diversità ed emarginazione, impedendo alle persone di essere autonome anche dal Comune che istituzionalmente è chiamato ad offrire opportunità. Non avere soldi e spendere cento volte tanto per tutta la vita è tipico e proprio di chi non ha progetti. Il grido di aiuto della madre e dei tecnici che hanno segnalato il fatto è ora davanti ai centri di ascolto parrocchiali, alla Caritas e al Centro Emergenza Famiglie, sperando che possano raggiungere l’obiettivo dei diecimila euro per un intervento «una tantum» come premessa di autonomia personale e indipendenza economica anche dall’assistenza. Se l’Assessore lo ritiene, può farmi un segnale ed io fornirei nome e indirizzo, aiutando così il Comune a risparmiare veramente, specie adesso che «il Comune non ha soldi».
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