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mercoledì 1 aprile 2009

«L’acqua è un diritto, non un bisogno. Nessuno può derubarci della vita»]


di Paolo Farinella


Il 22 marzo, giornata mondiale dell’acqua, a Istanbul in Turchia si è chiuso il V Forum Mondiale sull’acqua. Il documento finale si chiude prendendo per i fondelli l’umanità intera perché definisce l’acqua come «bisogno» non come «diritto». La differenza è abissale. Che sia un bisogno lo sanno anche i dementi «crociati» che portavano acqua davanti alla clinica di Eluana Englaro perché pensavano che la povera ragazza potesse bere a garganella. Eppure è vero che il nostro organismo per il 75% è acqua. Che l’acqua sia un diritto è la conseguenza logica e organica di tutte le carte (e le chiese) che parlano di «diritto alla vita». Già oggi un miliardo di persone non ha l’acqua minima per la sopravvivenza. I difensori distratti della vita in ogni forma e ad ogni costo non pensano che la mancata «idratazione necessaria» sia già una strage preventiva annunciata? Da un punto di vista ecclesiale cattolico, non dovrebbe esserci la scomunica immediata per chi procura la morte certa di uomini, donne e bambini appena nati?
Il Forum si limita ad esortare ad un uso più razionale dell’acqua e a lottare contro l’inquinamento delle falde acquifere. A riguardo Paolo Rumiz ( la Repubblica del 22-03-2009, p. 19) ci informa da par suo che l’alta velocità tra Firenze a Bologna per recuperare 22 minuti di tempo si è mangiata 81 torrenti, 37 sorgenti, 30 pozzi 5 acquedotti per un totale di km 100 di corsi di acqua. A questa seguirà anche l’alta velocità della Val di Susa che dovrebbe scavare sotto le montagne per 50 km e in Liguria siamo alle prese con la gronda in almeno 5 varianti, segno che anche il comune naviga a vista. Ci domandiamo: a quale prezzo di sistema e di civiltà? Vale la pena risparmiare 22 minuti di tempo e spegnere km 100 di corsi d’acqua? Il comune di Genova ha calcolato le conseguenze idriche della gronda? Dice un proverbio antico che coloro che Dio vuole perdere prima li fa impazzire e siamo certi che attualmente a livello mondiale e giù giù fino al più basso gradino del potere siamo governati da pazzi furiosi, incapaci di cogliere le esigenze di oggi e contemperarle con le necessità di domani. Ciechi che guidano altri ciechi.
Lo stesso giorno, il 22 marzo, come marziani venuti sulla terra una sessantina di persone si sono trovate, di domenica pomeriggio, in San Torpete per parlare dell’acqua «bene comune»: organizzatori e partecipanti hanno ragionato e riflettuto sulla necessità che i governanti proteggano la propria gente, i più deboli e i più vulnerabili che non riescono nemmeno a pagare il minimo consumo. I comuni dovrebbero garantire un minimo vitale/igienico di acqua gratis per ciascuno e far pagare il restante in base al consumo. Così non è e non sarà. In forza della legge Galli 36/1994 che riunifica acquedotti, fognature e depurazioni per una politica omogenea, il comune di Genova già nel 1996 ha pensato bene di considerare l’acqua non come «bene comune primario/essenziale», ma come «merce» quotando in borsa Amga spa ed esponendo quindi il «bene comune» alle follie del mercato e quindi alla speculazione finanziaria. Il gruppo «Iride» si sta fondendo con Enìa con sede a Reggio Emilia per gestire il servizio idrico integrato di tutto il nord Italia, secondo un accordo raggiunto nell’ottobre 2008 tra i sindaci di Torino, Genova, Parma, Piacenza e Reggio Emilia. Attualmente l’Iride ricava solo il 6% degli utili dall’acqua che quindi verrà messa in un calderone finanziario che avrà tutto l’interesse a sviluppare l’energia, i rigassificatori e le nuove centrali nucleari che un governo miope vuole reintrodurre (anche in Liguria), mentre l’acqua sarà tassata per distribuire utili ai soci a spese dell’eterno Pantalone che paga muto e rassegnato. Fino a quando sopporteremo pazientemente soprusi e furti senza nemmeno indignarci per essere derubati anche della vita?

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