Ma chi sono mai questi studenti che, quasi unici, protestano in Italia contro gli effetti delle politiche neoliberali?
di Benedetto Vecchi, Stefano Milani
La marea post-televisiva che rifiuta la fabbrica del consenso di Benedetto Vecchi
L'onda anomala segue percorsi non prevedibili e può cambiare direzione e produrre esiti inattesi anche dagli stessi partecipanti. È imprevedibile perché miltiforme, talvolta contradditoria perché chi vi partecipa esprime modi d'essere, visioni della realtà che spesso le lenti offuscate dell'interpretazione continua a leggerli con categorie e griglie analitiche appesantite dal tempo. Questa prima e parziale lettura del movimento che sta scuotendo l'università i media l'hanno registrata poco, per metterla subito in archivio. E l'onda risponde anche in questo caso in maniera anomala. Gli studenti e le studentesse non si sentono, né vogliono essere rappresentati da nessuno se non da loro stessi. Diffidano dei partiti (tutti, nessuno escluso), ma anche dei media, che a dare una rappresentazione della realtà sono pur sempre deputati. E qualche dubbio sulle scienze sociali non è è da meno, visto che l'inchiesta sull'«onda anomala» presentata ieri a Roma è stata definita dagli studenti intervenuti a commentarla «un sondaggio». Un'inchiesta certo parziale, anche per ammissione degli stessi ricercatori e docenti che l'hanno condotta, ma sul rapporto tra questi studenti e studentesse e il sistema dei media alcuni dati li offre per segnalare come i «produttori di opinione pubblica» sono screditati ai loro occhi. Se un qualche azzardo interpretativo è concesso, si potrebbe dire che l'onda anomala è una «generazione post-televisiva», nel senso che preferisce informarsi attraverso canali multipli, anche se Internet è di gran lunga il medium preferito. Quasi il cinquanta per cento dei settecento intervistati dichiara che si informa attraverso la rete, navigando indifferentemente tra siti mainstream e alternativi. Ma come ha tenuto a precisare un giovane del Dams intervenuto, la forma privilegiata della rete sono i blog messi in piedi da studenti e studentesse e «linkati» ad altri blog dello stesso tipo. Dunque la rete non come il mondo della controinformazione a portata di click, ma come un contesto dove acquisire informazioni, rielaborarle in una presa di parola che, come un tam-tam, ha stabilito un fitto reticolo di blog, siti augogestiti che funzionano come un media «in divenire». Chissà cosa potrebbero dire i fondatori di Indymedia. Il loro slogan - «Non odiare i media, diventa tu stesso un media» - sembra essere diventato il normale accesso all'informazione di questo movimento, ma in una forma sicuramente non prevista, anomala appunto. Non progetti per siti di «movimento», ma blog, racconti in prima persona, il rinvio a altri siti, un «taglia e cuci» in una caotica costruzione di «un punto di vista» che diffida e «decostruisce» tanto le versioni governative che quelle dell'opposizione parlamentare. Solo così si spiega il rapporto episodico con la carta stampata (solo il sei per cento) e quello più frequente, ma tuttavia minoritario, con la televisione (poco più del ventotto per cento usa anche la televisione per acquisire informazioni). Per di più è una lettura e una visione «infedele», nel senso che il tempo passato a leggere giornali o a guardare la tv è poco. Molti sono, infatti, i giovani che leggono il giornale dalle due alle quattro volte a settimana. E se i telegiornali sono visti tutti i giorni, per la televisione la scelta principale va ai film, i telefilm, mentre i programmi di intrattenimento sono «filtrati» attentamente. Disincanto dunque verso la «fabbrica del consenso». Gli animi, ieri a Roma, si sono scaldati solo nella denuncia della disinformazione fatta dai media su alcuni fatti recenti (Piazza Navona). Ma poi preferiscono sottolineare che la presa di parola di questi giovani uomini e donne post-televisivi è un fatto che ha stabilito un prima e un dopo. Il prima plumbeo del movimento, il dopo della condivisione di una condizione dove il diritto di accesso a un'università pubblica, di massa e qualificata (qui la critica del funzionamento attuale dell'università è radicale) è considerato oramai un diritto sociale di cittadinanza non mediabile. E sono gentili e cortesi quando ricordano che non vivono sulla luna. Il rifiuto della precarietà è radicale, perché lavorano già precariamente e il futuro non promette un cambiamento di condizione. Una forte consapevolezza della drammaticità della crisi economica, che impedisce di sperimentare una socialità piena al di fuori della famiglia. L'onda anomala vuol continuare a crescere. Sa che le prossime settimane la vedranno di nuovo in azione, ma nessuno prefigura cosa accadrà. C'è stato, appunto, un prima, dove molto era prevedibile, ma c'è stato un dopo considerato il contesto dove, per costruire un futuro, occorre cambiare il presente. Per questo occorre socializzare le esperienze, il proprio sentire. E già ieri pomeriggio, in rete, il tam-tam dei blog ha detto che l'inchiesta era un sondaggio, più affidabile di altri, ma pur sempre un sondaggio. In fondo, hanno imparato la lezione e si comportano proprio come un media che non delega a nessuno la rappresentazione della propria realtà. Radiografia dell'Onda di Stefano Milani È possibile studiare l'Onda? Prenderne l'essenza, metterla in una provetta ed analizzarla in laboratorio? Se è «anomala» poi, diventa tutto più complicato scomporla, decodificarla, definirla. Ci ha provato Edoardo Novelli, docente di comunicazione politica, insieme agli studenti del Dams di Roma Tre con un'interessante ricerca-sondaggio effettuata su un campione di 700 studenti a cui è stato chiesto di compilare un questionario. Chi sei, cosa fai, come vivi, per chi voti, quali sono i tuoi punti di riferimento, a cosa aspiri e via dicendo. Tutto materiale raccolto durante un'affollatissima assemblea di fine ottobre, mentre gli studenti organizzavano le mobilitazioni fuori dai loro atenei. Una fotografia di quello sterminato esercito del surf che quell'Onda sta cavalcando da settimane contro il decreto Gelmini, ora diventata legge dello Stato. Il risultato che ne viene fuori è sorprendente, anomalo se vogliamo. Ti aspetti dei «facinorosi», ti ritrovi dei «bamboccioni». Il 75% vive ancora a casa con mamma e papà, «me li dai tu 700 euro per prendere quaranta metri quadri in affitto in periferia», ci dice Luca studente di Lettere. Bamboccioni per necessità, come dargli torto. Ma le sorprese sono altre. Politica? No, grazie. E nemmeno l'ideologia. «Noi ragioniamo sul merito e non per spirito di bandiera», dicono. I valori degli anti-Gelmini sono altri, i sessantottini non crederanno ai loro occhi: famiglia, amore, amicizia. L'impegno politico è solo al settimo posto. Lo dimostra il fatto che la stragrande maggioranza di loro (83,6%) non è iscritto nè a partiti nè a organizzazioni politico-sindacali. Certo, la connotazione vira decisamente più a sinistra, o meglio al centro sinistra. Nelle ultime elezioni uno su due ha messo la croce sul Partito democratico, nel senso che l'ha votato. Segue Sinistra arcobaleno (16,8%), Italia dei Valori (10,1%), Sinistra critica (3%) e poi il "partito" del non voto (9,5%) che tiene insieme astenuti, voti nulli e schede bianche. E Veltroni è pure il politico più apprezzato, anche se decisamente più in basso (ottavo) nella top ten dei personaggi pubblici a cui i ragazzi «si sentono più vicini e in sintonia» (così recita la domanda). Sul podio c'è chi non ti aspetti: oro a Roberto Benigni, argento a Roberto Saviano (ci può stare), bronzo a Marco Travaglio. Due su tre sono personaggi pubblici, molto popolari e televisivi, in mezzo la figura che più incarna in questo momento l'impegno civico e civile. Seguono Gino Strada e Beppe Grillo, più staccata la strana coppia Jovanotti-Papa Wojtyla, chiudono il terzetto Veltroni, Di Pietro e il presidente della repubblica Napolitano. Politica in zona retrocessione dunque, ma guai anteporre il prefisso "anti". «Meglio una voglia di una nuova politica, come rifondazione di una politica rappresentativa dei ragazzi che risponde alle loro idee e ai loro valori», come crede Francesca Cantù, preside della facoltà di Lettere e filosofia di Roma Tre. E come confermano molti studenti. «A noi non interessa il gioco destra-sinistra, a noi interessa che la scuola e l'università restino pubbliche, che il precariato sparisca, che i tagli all'istruzione e alla ricerca vengano abbattuti. Non è politica questa?». E la buona politica è anche quella che combatte la corruzione, che risulta (34,2%) l'urgenza maggiormente percepita dagli studenti, più del lavoro (29,7%) e del costo della vita (24,5%), comunque temi caldi. Decisamente più lontane le urgenze di chi invece li governa, come la sicurezza, la criminalità e l'immigrazione. Dalla ricerca, ha commentato Novelli «sono emersi aspetti conflittuali assimilabili ai valori degli anni '70, '80 e '90, vale a dire l'impegno, la sfera personale e l'antipolitica, che costituiscono un unico soggetto inclassificabile che forma insieme agli altri un'onda anomala». Un mix forse troppo riduttivo per fotografare un movimento la cui forza sta proprio nella «non appartenenza» e «l'imprevedibilità» come ci tiene a sottolineare Anna, studentessa del Dams. Sennò che Onda anomala sarebbe.